Due inni della tradizione per leggere il tempo nella luce della fede

Il passaggio da un anno all’altro non è mai, per la Chiesa, un semplice fatto cronologico. È un tempo carico di significato spirituale, un momento in cui la comunità cristiana è invitata a fermarsi, a fare memoria e ad affidarsi. La liturgia accompagna questo “confine” tra fine e inizio con due inni solenni: il Te Deum il 31 dicembre e il Veni Creator il 1° gennaio.


Il Te Deum: la lode che nasce dalla memoria

La sera del 31 dicembre la Chiesa eleva il canto del Te Deum laudamus, un inno di lode e di ringraziamento che affonda le sue radici nei primi secoli del cristianesimo. È il canto della memoria credente, che riconosce il tempo trascorso come dono ricevuto dalle mani di Dio.


Nel Te Deum trovano spazio le gioie e le fatiche dell’anno che si chiude, i successi e le fragilità, le luci e le ombre del cammino personale e comunitario. Cantare questo inno significa confessare che Dio è stato presente nella storia, anche quando non tutto è stato chiaro o facile. La gratitudine diventa così un atto di fede, capace di educare il cuore a riconoscere la fedeltà del Signore.


Il Veni Creator: l’invocazione per il tempo nuovo

Con il nuovo anno, il 1° gennaio, la liturgia invita a cambiare sguardo. Al posto della memoria riconoscente, emerge l’invocazione fiduciosa. Il canto del Veni Creator Spiritus affida allo Spirito Santo il tempo che si apre davanti a noi.


Il futuro porta con sé domande, attese, responsabilità. La Chiesa sa che il cammino non può essere affrontato solo con le forze umane. Per questo invoca lo Spirito: perché illumini le menti, rafforzi i cuori, rinnovi la vita delle persone, delle famiglie e delle comunità. Il Veni Creator esprime la certezza che ogni inizio autentico nasce dall’azione di Dio.


Affidare il tempo a Dio, tra gratitudine e speranza

Il Te Deum e il Veni Creator racchiudono due atteggiamenti fondamentali della vita cristiana: la gratitudine e la speranza. Ringraziare per ciò che è stato e affidare ciò che sarà non sono gesti formali, ma scelte spirituali profonde.


Così il passaggio dell’anno diventa preghiera, e il tempo non è più solo qualcosa che scorre, ma uno spazio abitato dalla grazia. Tra fine e inizio, la Chiesa insegna a consegnare la storia personale e comunitaria a Dio, Signore del tempo e della vita.