La figura dell’Abate e l’importanza del “padre”
Proseguiamo il nostro itinerario estivo aiutati dalla Regola di S. Benedetto, figura eccezionale, non solo per la sua grandezza spirituale, ma anche per l’eredità che ha lasciato all’Europa e alla civiltà occidentale dentro la quale siamo immersi anche noi. Un patrimonio di spiritualità, di fede, di cultura, di arte, di musica, di valori ed anche di progresso e di concretezza. Vorrei ricordare Benedetto in quanto può aiutarci a ritrovare il cuore e l’anima in un tempo in cui è molto difficile, a volte impossibile, capire e capirsi. Benedetto con la sua Regola, ancora oggi può ispirarci e aiutarci.
Vorrei lasciarvi, questa settimana, qualche versetto che ci permette di capire la figura dell’Abate, colui che diventa “padre” di tutti i “figli spirituali” a lui affidati, oltre che punto di riferimento di tutta la comunità monastica.
Con una precisazione importante: in monastero, egli tiene il posto di Cristo e porta il nome stesso di Dio: Abbà, Padre.
Mi pare che questa figura ci rimandi, col pensiero, a tutte le persone che sono chiamate, nella vita, a esercitare una “paternità” o “maternità”, materiale o spirituale, cioè a tutte quelle persone che, per scelta, per vocazione o per responsabilità, hanno il compito di essere custodi della vita e del bene dei singoli e di una comunità.
Penso ai genitori, agli educatori, ai preti, alle figure di dirigenza, agli svariati tipi di superiori, ai direttori di servizi e di realtà varie, alle figure presidenziali di vario tipo, …..
Per San Benedetto, l’obiettivo non è quello di essere capi rispettati e riveriti, né perfetti organizzatori di comunità o garanti di qualche diritto/dovere.
Si tratta, invece, di servire, come Cristo ha servito l’umanità, fino al dono totale di se stesso.
Si tratta di essere persone, che sanno “generare” il bene, la verità, la bellezza, la speranza, la pace.
Si tratta di essere testimoni (più che maestri) che, con l’esempio, diventano un monito vivente e un invito a fare altrettanto.
Si tratta di agire a nome di Qualcun Altro, al quale rendere conto come servi buoni e fedeli.
Si tratta di cercare e vivere la coerenza, l’onestà, la giustizia, l’equità, la moderazione, l’equilibrio, la ricerca del bene di tutti e di ciascuno.
Si tratta di essere persone che generano, favoriscono e custodiscono la vita, il bene, il futuro di altri.
Questo è il “capo”, questo è l’Abate.
Un abate degno di stare a capo di un monastero deve sempre avere presenti le esigenze implicite nel suo nome. Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome. Perciò l'abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi, il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità.
Quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani.
Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri
Si guardi dal fare preferenze nelle comunità: non ami l'uno più dell'altro. Infatti, "dinanzi a Dio non ci sono parzialità" e una cosa sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone. Quindi l'abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di condotta basata sui rispettivi meriti.
Per quanto riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera" e precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la tenerezza del padre. In altre parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina.
(RSB cap. II – L’Abate)
Mi pare che, in una società come la nostra, in cui, spesse volte, prevale l’individualità, l’individualismo e l’assolutezza del proprio io o del proprio punto di vista, la figura e le caratteristiche dell’abate ci richiamano ad una grande vocazione: quella di essere “padri” e non spettatori.
Ognuno di noi è custode della vita e del bene degli altri, in particolare di tutti coloro che Dio pone accanto a noi o sul nostro cammino.
Forse la paternità e la maternità sono proprio scelte che potrebbero rendere migliori il mondo e le comunità in cui viviamo.