Dio è comunione d’amore, modello per noi.
Ogni anno, la domenica dopo la Pentecoste, la Chiesa ci fa dono di una delle sue feste più alte e insieme più misteriose: la Solennità della Santissima Trinità. È una festa che non celebra un evento della storia della salvezza, ma il mistero stesso di Dio così come Gesù ce l’ha rivelato. Dio non è una solitudine onnipotente, ma una comunione di amore, una Famiglia eterna: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Nel Vangelo di Matteo (28,19), poco prima di ascendere al cielo, Gesù consegna ai suoi discepoli il mandato missionario: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Non si tratta solo di una formula liturgica, ma della manifestazione del modo di essere di Dio: comunione di persone, relazione d’amore che si dona e si accoglie.
Fin dai primi secoli, la Chiesa ha cercato di esprimere questo mistero: un solo Dio in tre Persone uguali e distinte, unite da un amore così perfetto da essere una sola natura divina. Il Padre genera il Figlio, il Figlio è il Verbo eterno fatto carne per la nostra salvezza, lo Spirito Santo è l’amore che li unisce e che, per mezzo del Figlio, è donato a noi.
Questa comunione trinitaria è il cuore della vita cristiana. Ogni nostra relazione umana, ogni esperienza di comunità, ogni gesto di perdono e di accoglienza autentica è riflesso, per quanto imperfetto, della vita stessa di Dio. Per questo possiamo dire che Dio è Famiglia, Dio è relazione, Dio è dono. E noi, creati a immagine e somiglianza di questo Dio, siamo fatti per vivere di relazioni buone, costruttive, generative.
La festa della Trinità è un invito a riscoprire il valore delle nostre relazioni. In un tempo in cui spesso prevalgono l’individualismo, l’isolamento e le fratture sociali, la Trinità ci ricorda che la nostra vocazione più profonda è la comunione, perché l’amore è il linguaggio di Dio e la legge più vera della vita.
Come Abramo e Sara nella prima lettura di questa domenica (Genesi 18), che ricevono la visita misteriosa dei tre viandanti, anche noi siamo invitati ad accogliere Dio nella nostra vita e a lasciarci sorprendere dalla sua promessa di futuro, anche là dove tutto sembra impossibile. Nella seconda lettura (1 Corinzi 12), Paolo ci ricorda che lo stesso Spirito agisce in tutti e dona a ciascuno carismi diversi per il bene comune, uniti da un solo Dio che opera in ogni cosa. E nel Vangelo di Giovanni, Gesù ci annuncia che colui che osserva la sua Parola è abitato dalla Trinità stessa: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Celebrare questa solennità significa quindi riscoprire la nostra identità di figli amati e il nostro compito nel mondo: essere riflesso di questo amore eterno. Significa imparare a vivere la fraternità, il rispetto, la generosità, la solidarietà e la cura gli uni degli altri, in famiglia, nella comunità cristiana e nella società.
In questo anno giubilare che la Chiesa ha voluto dedicare alla speranza, il mistero della Trinità ci dona una luce speciale: ci dice che non siamo mai soli, che esiste una comunione più grande di noi che ci sostiene, ci accoglie, ci perdona e ci chiama. E che la nostra esistenza, pur fragile e imperfetta, è già avvolta in questa storia d’amore che non ha fine.
Lasciamoci dunque guidare dallo Spirito Santo, che è memoria viva del Vangelo e respiro d’amore, per riconoscere nei gesti semplici di ogni giorno, nei volti che incontriamo e nelle occasioni di fraternità, il riflesso della vita di Dio in noi.
Dio è Trinità: un mistero di amore che ci abita e ci trasforma.