Un invito alla maturità della fede

Con la memoria di San Carlo Acutis (12 ottobre), patrono della nostra Comunità, concludiamo questa intensissima “introduzione” all’anno pastorale iniziata il 7 settembre con la sua Canonizzazione in san Pietro e proseguita con le feste Patronali dell’Addolorata, di S. Bartolomeo, e, successivamente, con la Festa di apertura dell’Oratorio vissuta le scorse due domeniche. 

Sono state settimane importanti non solo per riorganizzarci, ma soprattutto per ritrovarci, per rimetterci in relazione e in cammino: dai ragazzi, ai genitori, alle famiglie agli anziani, al mondo della scuola. Tutti sono stati un po’ coinvolti!

Ora ci aspetta un altro intenso periodo che ci porterà fino all’Avvento e che vedrà la partenza del “catechismo” e degli itinerari di fede dei ragazzi e dei giovani, le Quarantore (la prossima settimana), il Pellegrinaggio giubilare a Roma, il mese missionario …fino all’inizio delle Benedizioni natalizie che inizieranno il prossimo 3 novembre.


Perché tutto questo “darsi da fare”? Mi pare una domanda legittima e decisiva.

Lo scopo è uno solo: incontrare il Signore, fare incontrare il Signore e aiutare a vivere la fede, la speranza e la carità nella vita di ogni giorno, in attesa di essere per sempre con Dio!

È la dimensione alta e spirituale della vita che ci aiuta a vivere quaggiù, ricordandoci che la meta è lassù!

Carlo Acutis ce lo ricorda: la sua insistenza e la sua gioia nel volere e nel vivere l’incontro con Gesù, non è la scelta “carina di un santino da immaginetta”, ma l’intuizione profonda che la nostra vita chiede Dio, è aperta a Dio e si compie in Dio.

Mi colpisce molto leggere di come in Francia, in Inghilterra, nei Paesi del Nordi ci sia una decisa ripresa della fede e dei Battesimi, soprattutto di giovani e di famiglie. Lì, dove si pensava che la secolarizzazione avesse compiuto definitivamente la sua “strage”, lo Spirito di Dio, invece, apre i cuori e li riempie della sua luce.

Il giovane Mons. Erik Varden, 51 anni, vescovo di Trondheim (Norvegia) e presidente della Conferenza episcopale della Scandinavia, dice proprio così a proposito di quello che capita in quei paesi che erano ritenuti ormai scristianizzati:

C’è una ripresa della fede cattolica nei Paesi dell’Europa del Nord. In particolare in Norvegia i cattolici restano un’esigua minoranza, ma crescono i battezzati. 
Sì, è vero, c’è una certa crescita, la definirei una stagione primaverile. In termini numerici è dovuta principalmente all’immigrazione. La nostra realtà è estremamente internazionale. Nella mia diocesi ci sono immigrati provenienti da ben 130 Paesi, e molti di loro sono cattolici, altri chiedono il battesimo.
Il ritorno inaspettato della fede, soprattutto tra i giovani, avviene in un mondo che pensavamo si stesse allontanando da Dio…
Rallegriamoci. Ma perché inaspettato? Se uno guarda con un po’ di attenzione la storia della Chiesa durante duemila anni, c’è sempre stato questo anelito: il cuore umano e l’intelligenza umana non perdono mai quella fame di senso, di bellezza e di amicizia, che cerca punti di riferimento per orientarsi.
Al Giubileo dei giovani c’è stata una partecipazione viva. Una grande speranza. Ma come accompagnare questi ragazzi che hanno sete di Dio ma facilmente rischiano di perdersi?
Dando loro la testimonianza di una vita pienamente umana, felice e libera, perché la libertà è un termine biblico chiaro, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, e ognuno porta in sé la sete di essere davvero libero. Conta l’incontro; una persona che incarna, che vive un’autentica libertà interiore, ha un potere contagioso benefico, irresistibile.

Ecco chi essere. Ecco cosa non perdere. Ecco l’essenziale su cui concentraci.

La premessa di settembre-ottobre, aveva il  desiderio di introdurci al cuore dell’esperienza cristiana che non è quello che si fa, non è nemmeno legata a luoghi o calendari, ma è quello che si è e che si vive nel proprio incontro con Dio e con se stessi.


Se dovessi suggerire un esercizio, direi che abbiamo bisogno di essenzialità e di alleggerimento: la nostra comunità cristiana è bella, ma ha bisogno di concentrarsi su ciò che è veramente essenziale e suo proprio. Il resto è “umano” e per questo provvisorio: potrebbe, rimanere, cambiare o anche non esserci più.


Questo significa la libertà dagli schemi e dalle abitudini che appesantiscono e rinchiudono, piuttosto che liberarci e farci crescere.

Significa più attenzione alla fede e al cuore cristiano: la carità, la missione, l’educazione.

Significa chiedere e aspettarsi dalla parrocchia non tutto, ma quello che le è proprio per missione: la custodia di Dio, la possibilità di incontralo nei sacramenti, la vita di carità e la missione educativa.

Non possiamo perderci l’essenziale, non possiamo disperdere energie, non possiamo non dirigerci verso una fede più adulta e più matura.


Buona “immersione” nella concretezza e nella bellezza della vita cristiana, con il coraggio di essere essenziali e concentrati su ciò che conta.


don Paolo