Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni

È ciò che troviamo scritto con lettere giganti nel salone dell’Oratorio di Carugo, uno dei due della nostra Comunità.

Così si è espresso S. Giovanni Paolo II incontrando i giovani della Sardegna nel 1985. 

Rileggo sempre questa frase chiedendomi che cosa possa dire ai ragazzi, ma anche agli adulti, quarant’anni dopo! 

Mi pare che il messaggio sia chiaro: Dio ci ha messo tra le mani un’occasione unica che è la nostra vita, ma sta a noi decidere che cosa farne e come.

La proposta del Papa è quella di farne un “capolavoro”. Ma che cosa significa?


Il suggerimento potrebbe essere interessante, ma anche rischioso, in una cultura, la nostra, in cui ci è chiesto, continuamente, di eccellere, di essere “performanti”, di dare dimostrazione di qualche particolare superiorità. 


Come cristiani, direi, abbiamo però un metodo “alternativo”. Il capolavoro è possibile e realizzabile nel momento in cui cerchiamo di rispondere a Colui che ci ha creati, che ci conosce e quindi, sa bene che cosa fare di noi. 

La vocazione è proprio questo: pensare la propria vita a partire da ciò che siamo, da ciò che sappiamo fare, ma anche a partire da Colui che ci conosce e sa bene che cosa chiederci per dare il meglio di noi stessi.


E allora il capolavoro sarà quel prete che “fa bene il prete”, cercando, con fedeltà, tenacia e sacrificio, di rispondere a Dio e alla gente che gli è affidata.

Capolavoro sarà quella suora che, donando se stessa a Dio, vivrà la sua femminilità e la sua maternità secondo un particolare carisma.

Capolavoro saranno quegli sposi cristiani che, attraverso il sacramento del Matrimonio, uniscono le loro vite a quella di Dio, diventando amore santificato, donato e scambiato fra di loro e con i figli.

Capolavoro saranno quegli uomini e quelle donne che, nel silenzio e nel nascondimento, hanno consacrato la loro vita a Dio attraverso i voti di castità, di povertà, di obbedienza, anticipando, in questo mondo, la perfetta adesione della nostra vita a Dio.

Capolavoro sarà quella vedova o quel vedovo che vivono il tempo della mancanza del coniuge con la ferma certezza di potere continuare a dare la propria risposta, in attesa di ritrovarsi con chi si è amato.

Potrei continuare.


La questione che mi sembra più urgente, al di là del calo del numero dei preti e dei matrimoni, è quella di non smettere di insegnare che la vita è una vocazione, cioè un risposta.

La vita, per noi credenti, non è un’organizzazione, ma una vocazione.

Non è una pianificazione, ma un desiderio di realizzare, in questo tempo e in questo mondo, ciò che il Padre propone al figlio che conosce e che ama.


La bellezza di una comunità si può misurare con tanti criteri. Uno, mi pare, che possa essere questo: la capacità e il desiderio non di fare tante cose, ma di essere ciò che Dio ci propone fin dal primo istante della nostra esistenza.


Essere una risposta a una chiamata.

Anche la comunità cristiana esiste proprio per questo: non per fare delle cose, ma per fare la volontà di Dio e aiutare tutti a capirla e a realizzarla.

Beata quella Comunità che insegna ai suoi ragazzi a scoprire la vocazione.


Uniti nella preghiera per le vocazioni.

 don Paolo, Parroco.